24 novembre 2005

Real seventies (2)

Un po' simile all'11 settembre, mi ricordo cosa stavo facendo.
Dev'essere così, per le tragedie.

Festeggiavamo il compleanno di mio fratello, e a casa c'era un'orda casinara di bambini, che non ci fece sentire nulla.
Nel resto di Roma, molti scesero in strada.

Tutto arrivò la mattina dopo a scuola.

Non c'era Internet, satellite, Al Jazeera, c'era qualche notizia frammentaria da quei quattro gatti che erano arrivati per primi.

Il titolo del Messaggero era impossibile da pensare.

"5000 morti".

Erano stati poco più della metà, realmente, ma un numero di morti in una sola notte mai registrato.

A scuola si cercava di capire cosa volesse dire la scala Mercalli, la Richter ancora non era nota nella penisola.
Ricordo la cartina, per spiegare dov'era l'Irpinia, in tanti non ne avevano idea, che è anche un diritto, a nove anni.

Io già mangiavo libri, e ce n'era uno, rubato a casa di mio nonno, che parlava della fisica dell'Italia.
E l'Irpinia non era una zona sismica, ma una zona talvolta non sismica, da tempo immemorabile, ma queste cose, va a capire, non si imparano mai.

Niente fortunato a restare vivo sotto le macerie per giorni.
Niente telecamere di notte a illuminare l'eroico pompiere che salva.
Niente giornalisti a far domande stronze a chi non aveva più un cazzo.
Niente apparizioni di Padre Pio o madonne di turno.

Tutti morti. In silenzio.
Pensando a ieri, mi sembra che il mondo fosse più silenzioso.

Ciò che non si è mai visto, non si sa affrontare, sì che c'era stato il Friuli, ma era diverso.
A Roma non si sapeva cosa inventare, viene l'idea di requisire i caravan.
E le raccolte di abiti, che a mia madre ricordavano il Polesine.
Perché i container erano di là da venire, e la Protezione Civile non esisteva, venne creata apposta per l'occasione.

Noi avevamo un caravan, ma chissà perché non se lo presero.
Ed è la seconda cosa che ricordo.

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