13 luglio 2008

"Ridi, cialtrone"

Qualche anno fa, il successo di Björk tolse il coperchio di una scena musicale che al mondo era pressoché sconosciuta, quella islandese.
Sembra che in Islanda non esista un artista che non sia in qualche modo alternativo, tutto si muove tra sperimentazioni post rock e elettroniche, magari esistono pure là i cantanti pop, ma non ne abbiamo notizia.

Oggi la miglior proposta dell'isola di ghiaccio sono i Sigur Rós, nati nel 1994 e forniti di nome dall'allora neonata sorella del cantante Jón Þór Birgisson, detto Jónsi, divenuti noti al mondo con la colonna sonora del film Vanilla Sky.
Il nome, è storia nota, vuol dire "rosa della vittoria", e per quanto possa sembrare una stravaganza da sessantottini è invece un (meraviglioso) nome femminile piuttosto comune in Islanda.
Meno comune il fatto che la piccola abbia 19 anni di meno di Jónsi.

Sembra che il giardino di Boboli si presti piuttosto bene, nessuna perquisizione e ci sono pure i bambini; non è un'arena naturale, ma non ci sono mai stato e così è una buona occasione per vedere qualcosa.
Una graziosa bionda con un leggero handicap (il fidanzato) mi fa notare che avrei potuto vedermeli a Roma la sera dopo.
È vero, ma non so resistere al fascino della trasferta rock, alla passeggiata dalla stazione al luogo del concerto, anche se la trasferta è un'ora e mezza di Eurostar, e la passeggiata obbligatoria dato che la mia religione mi vieta di guidare per Firenze.

Introduce Helgi Jonsson, un simpatico tizio con la sola chitarra e una gran voce, che è anche uno dei trombonisti dei Sigur Rós.
La cosa mi fa scoprire che, oltre alle solite Amiina agli archi, ci saranno anche i fiati, e probabilmente un bel po' di gente sul palco.

Poi i nostri islandesi, che sono diversi da quello che ci si aspetta, apparentemente naïf ma poi freddi e implacabili in azione.
La voce impossibile di Jónsi, che a quanto pare non soffre mai di cali, la sua chitarra suonata con l'archetto da violoncello, il batterista con una corona in testa, le Amiina e i fiati vestiti di bianco che entrano come una banda.

La scenografia è piuttosto semplice, e spesso i musicisti si scambiano posti e strumenti.
Un problema tecnico crea qualche danno all'esecuzione di Sæglópur, una delle mie preferite, mentre il nuovo singolo Gobbledigook, che suona abbastanza pop, dal vivo diventa un incredibile pezzo corale che fa alzare tutti e finisce con lancio di coriandoli à la Flaming Lips.
Niente Viðrar Vel Til Loftárása, ma c'è di che rifarsi con il bis che è un'imperiale Popplagið.

Nota finale per noi tre, che cambiamo città per vedere concerti, che compriamo i biglietti l'anno prima, che arriviamo quando i cancelli sono ancora chiusi, che non compriamo mai magliette tarocche, che ci chiediamo perché ancora non è arrivato nessuno, che compriamo il panino invece di portarcelo da casa solo perché adesso abbiamo qualche lira.
Noi ci siamo conosciuti pochi anni fa, ma da allora sembra una vita.

(il titolo del post è preso ovviamante dalla nota Vesti la Giubba, dall'opera Cialtroni, di Ruggero Leoncavallo)

6 commenti:

  1. Io veramente i toast(s) o toast(es) me li ero portati da casa. Vuol dire che sono più straccione?
    Bellissimo il passaggio sul credo che impedisce la guida in quel di Firenze. Qui si è più intransigenti, la religione permette la guida solo da e verso i supermercati Coop.
    Doveroso infine citare che il titolo del post è stato suggerito dalla nota melomane de noantri ;-)

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  2. Infatti stavo per scrivere che c'era uno più tradizionalista degli altri, poi però mi si rovinava l'afflato giovanilista del post.

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  3. Scusa anche gli Intuanua (spero si scriva così) sono islandesi?
    john

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  4. Arrivo da lastfm.
    Il concerto è stato meraviglioso, emozionante come pochi concerti a cui sono stato.
    Mi trovo molto con le tue sensazioni finali sulla vita da concerto; il biglietto da secoli prima, il viaggio in compagnia (e ti dico solo che io vengo dalla prov. di Trento), il buttarsi nella mischia senza niente in tasca, nè un panino nè una giacca per coprirsi quando piove, e di acqua a concerti ne ho presa veramente tanta.
    Solo emozione e passione.

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